A proposito di Malvasia, pubblichiamo un estratto di un testo che a noi sta particolarmente a cuore perché scritto nel 1934 da un nostro lontano parente Attilio Deiana, primo enologo sardo e attento studioso della cultura del vino.


Si tratta di Note pratiche di enologia e appunti tecnici ad uso dei vinicoltori sardi.

In questo importante testo vi è un capitolo dedicato alla Malvasia che indica il territorio di Settimo San Pietro fra le zone classiche di coltura della Malvasia nel Campidano di Cagliari, riporta indicazioni su come venisse prodotta e aneddoti importanti che vedono la Malvasia di Settimo San Pietro come un regalo prezioso da indirizzare alle alte sfere politiche del tempo.

Dejana scrive che all’epoca della visita in Sardegna del Capo del Governo Mussolini fu incaricato di trovare “un po’ di ottima Malvasia”, che riuscì a rintracciare in una cantina di un produttore di Settimo San Pietro. “Era una malvasia di 10 anni di vita, così armonica e così ricca di eteri che sturando le bottiglie inondava l'ambiente di un profumo magnifico. Ricordo che il Conte Sernagiotto, valentisimo enologo e impareggiabile Direttore dell'allora Regia Scuola Speciale di agricoltura di Cagliari, assaggiandola, rimase vivamente ammirato per i pregi eccezionali di quel vino, tanto da asserire che era il miglior vino fino secco d'Italia e del mondo.

Si tratta di un testo storico edito dalla Tipografia, legatoria artigiana di Cagliari di cui non si hanno copie attuali. Essendo in possesso di una copia molto vecchia abbiamo voluto trascrivere la parte dedicata alla Malvasia per poterla leggere meglio e ora la pubblichiamo sul nostro sito per renderla accessibile a chi è interessato quanto noi.


Qui la trascrizione e in coda il riassunto:

"La Malvasia quando proviene dalla sua zona classica, e quando è diligentemente preparata, e forse il miglior vino fino secco della Sardegna se non d’Italia. Vero è che il suo primato è contrastato abbastanza bene dalla vernaccia che si produce nell'agro di Oristano, la quale ha indubbiamente dei pregi eccezionali. Tuttavia, se è compito un po’ arduo assegnare il primo posto all'uno o all'altro vino, è certo che entrambi fanno onore alla regione che li produce, e meritano l'attenzione di tutti coloro che, in Italia e fuori, hanno il senso delle cose veramente buone e pregevoli. La Malvasia, come scrive il valentissimo Enot. Mameli, in una delle tue pregiate monografie sui vini tipici della Sardegna: è originaria dei dintorni di Monemvasia - piccola città greca - donde è stata importata in Sardegna nel periodo della dominazione bizantina. La malvasia, scrive lo stesso Mameli, ha un bel colore d'oro, o di ambra, brillante, e un soave profumo che seduce il palato. È asciutta, generosa, vellutata, con retrogusto di mandorle o di nocciole, leggermente abbrustolite. La malvasia sviluppa il suo profumo gradevole e intenso dopo qualche anno d'invecchiamento. Lasciata invecchiare in piccoli fusti, come si usa nel nostro Campidano, acquista dei pregi meravigliosi e un profumo deliziosissimo. Come ebbi a scrivere anni fa nella rivista Italia Vinicola diretta da S. E. Marescalchi, all’epoca della visita in Sardegna del Capo del Governo S. E. Mussolini fui incaricato di trovare un po’ di ottima Malvasia, che riuscii a rintracciare in una cantina di un produttore di Settimo S. Pietro. La stessa malvasia fu poi degustata nel simposio offerto a SE Mussolini in occasione della sua visita al Tirso. Era una malvasia di 10 anni di vita, così armonica e così ricca di eteri che sturando le bottiglie inondava l'ambiente di un profumo magnifico. Ricordo che il Conte Sernagiotto valentissimo enologo e impareggiabile direttore dell'allora Regia Scuola Speciale di agricoltura di Cagliari assaggiandola all'atto di acquistarla, che dovette pagare ragione di 20 lire per litro, rimase vivamente ammirato per i pregi eccezionali di quel vino, tanto da asserire che era il miglior vino fino secco d'Italia e del mondo. Il vitigno che da origine al vino in parola, si coltiva indifferentemente in quasi tutte le qualità del campidano di Cagliari e di Bosa; non di meno quando è piantata in terreni sciolti piuttosto magrigli e di natura calcareo-silicea, con esposizione a mezzogiorno e in collina o mezza collina da risultati molto più apprezzabili. La sua zona classica perciò è Bosa ed il Campidano di Cagliari, comuni di Quartu S. Elena, Quartucciu, Selargius, Settimo S. Pietro Sinnai, Maracalagonis, Monserrato e Pini. Il modo di coltivare la malvasia è a spalliera, con tralci a frutto un po' lunghi. Eccettuata la potatura, il resto della coltivazione non si differenzia da tutto il resto che viene praticato agli altri vitigni. La malvasia nel Campidano di Cagliari si vendemmia verso la metà di settembre, senza badare troppo alla scelta dell'uva. E questo è male, tanto più trattandosi di dover preparare del vino così pregiato. L'uva, appena raccolta, si carica nelle apposite tline e si porta in cantina, ove viene ammostata colle comuni pigiatrici, o col sistema antico che è quello dei piedi. Quest'ultimo mezzo è certamente antieconomico, ma è preferibile al primo, quando non si hanno pigiatrici perfezionate perché non stritolando i graspi, evita di conferire al vino la ruvidità dovuta agli acidi in essi contenuti. L'uva ammostata si passa come al solito in una botte sfondata da una parte, in funzione di tino, e si lascia fermentare per 24 ore dopodiché si svina e il mosto si mette in piccoli fusti. Questo sistema è ottimo, anzi è il preferibile quando l’uva è perfettamente sana. Tuttavia taluni usano anche il sistema di pigiare l’uva e di mettere a fermentare il solo mosto. IL secondo sistema è consigliato specialmente quando l'uva fosse difettosa, ma in tal caso sarebbe meglio rinunciare alla preparazione di un vino di lusso, comunque in un caso o nell'altro è bene trattare l'uva o il mosto con quindici grammi di metabisolfito potassico per ettolitro, perché come è come è stato detto in precedenza l'anidride solforosa che si sviluppa ha la funzione di sterilizzare il mosto e coagulare lo sostanze albuminoidi. Eccedere nel trattamento del sali solforosi non è conveniente perché’ la pratica ha dimostrato che l'eccesso di anidride solforosa nuoce alla formazione degli eteri quindi allo sviluppo del profumo. Del resto quando l’uva è immune da malattie o difetti non bisogna preoccuparsi di fermentazioni anormali, purché sia tenuta d'occhio la temperatura delle masse fermentante che, come si è detto, non deve mai superare i 36 gradi. L’enotecnico Mameli nella monografia dianzi citata, consigliava in un primo tempo la defecazione del mosto, giusta quando è prescritta per la vinificazione in bianco del nuragus, poi, in seguito ad una maggiore esperienza, pubblicando la stessa monografia modificò l'opinione prima espressa, nel senso che la defecazione è da proscriversi, perché non giova affatto per i vini secchi ad alta gradazione alcoolica in quanto può essere causa di un forte rallentamento della fermentazione. Non si pronunciò però sulla schiumatura, per quanto io sappia che egli non la disapprova. Io ricordo che moltissimi anni fa la maggior parte dei produttori del campidano separavano il mosto dalle vinacce e poi lo mettevano a fermentare in piccoli fusti, e dal cocchiume dei medesimi, quando la fermentazione diventava tumultuosa, traboccava molta schiuma, la quale come li stessi produttori asserivano - ridondava a beneficio della qualità del vino. Ora, ammesso questo, io penso che sarebbe buona pratica, qualora si volesse far fermentare la malvasia in bianco, di asportare almeno una parte della schiuma che andrà formandosi alla superficie del mosto. A fermentazione finita, la malvasia è consuetudine di lasciarla nello stesso recipiente ove ha fermentato, applicando al cocchiume una foglia di fico. Molto meglio sarebbe, invece, di mettere nel cocchiume un sacchetto pieno di sabbia, oppure un tappo idraulico. Ma con un vino di questo genere, a grado alcolico elevato, la cosa è di secondaria importanza. In Campidano è affatto sconsigliata la pratica delle aggiunte di bisolfito, nutri solfito e di fosfati in genere, perché i fermenti si sviluppano abbastanza bene trovando nel mosto gli alimenti di cui hanno bisogno."

Editore: Tipografia - Legatoria Artigiana - Cagliari


Riassunto della trascrizione:

L’autore esalta la Malvasia, soprattutto quando proviene dalla sua zona classica e viene preparata con diligenza. Afferma che potrebbe essere il miglior vino secco della Sardegna, se non addirittura d’Italia. L’autore descrive la Malvasia come originaria dei dintorni di Monemvasia, una piccola città greca, che venne importata in Sardegna durante il periodo della dominazione bizantina. Questo vino ha un bel colore dorato o ambrato, brillante, e un profumo soave che seduce il palato. È asciutto, generoso, vellutato, con un retrogusto di mandorle o nocciole leggermente tostate. Nel corso degli anni, la Malvasia sviluppa un profumo gradevole e intenso, soprattutto quando invecchia in piccoli fusti, come avviene nel Campidano, acquisendo caratteristiche meravigliose e un delizioso aroma. L’autore ricorda un’esperienza personale: durante la visita in Sardegna del Capo del Governo Mussolini, fu incaricato di trovare un’ottima Malvasia. Trovò a Settimo San Pietro una bottiglia di Malvasia di 10 anni, così armonica e ricca di eteri che, quando sturata, inondò l’ambiente di un magnifico profumo. Questo vino fu poi degustato nel simposio offerto a Mussolini in occasione della sua visita al fiume Tirso. Il Conte Sernagiotto, un valente enologo e direttore dell’allora Regia Scuola Speciale di Agricoltura di Cagliari, rimase vivamente ammirato per i pregi eccezionali del vino Malvasia. Tanto da affermare che era il miglior vino secco non solo d’Italia, ma del mondo. Il vitigno che dà origine a questo vino si coltiva indifferentemente in quasi tutte le qualità del Campidano di Cagliari e di Bosa. Tuttavia, quando è piantato in terreni sciolti, piuttosto magri e di natura calcareo-silicea, con esposizione a mezzogiorno e in collina o mezza collina, produce risultati ancora più apprezzabili. La zona classica per la Malvasia è quindi Bosa e il Campidano di Cagliari, compresi i comuni di Quartu S. Elena, Quartucciu, Selargius, Settimo S. Pietro, Sinnai, Maracalagonis, Monserrato e Pini.

Il modo di coltivare la Malvasia prevede l’uso della spalliera, con tralci a frutto un po’ lunghi. Eccetto la potatura, il resto della coltivazione non differisce significativamente da quella degli altri vitigni. Nel Campidano di Cagliari, la vendemmia della Malvasia avviene verso la metà di settembre, senza prestare troppa attenzione alla scelta dell’uva. Tuttavia, questo approccio è rischioso, soprattutto considerando che si sta preparando un vino così pregiato. L’uva, appena raccolta, viene caricata nelle apposite tline e portata in cantina, dove viene pigiata con le comuni pigiatrici o con il sistema antico dei piedi. Quest’ultimo metodo, sebbene antieconomico, è preferibile quando non si dispone di pigiatrici perfezionate, poiché evita di conferire al vino la ruvidità dovuta agli acidi contenuti nei raspi. L’uva pigiata viene quindi trasferita in una botte sfondata da un lato, funzionando come un tino, e lasciata fermentare per 24 ore. Successivamente, si svina e il mosto viene messo in piccoli fusti. Questo sistema è ottimo, soprattutto quando l’uva è perfettamente sana.

L’autore discute diverse pratiche relative alla vinificazione della Malvasia. Ecco un riassunto dei punti chiave:

  1. Sistema di Vinificazione:

    • Taluni utilizzano il sistema di pigiare l’uva e far fermentare solo il mosto.
    • Questo secondo sistema è consigliato, soprattutto quando l’uva è difettosa. Tuttavia, sarebbe meglio rinunciare alla preparazione di un vino di lusso in caso di uva difettosa.
    • È importante trattare l’uva o il mosto con 15 grammi di metabisolfito potassico per ettolitro. L’anidride solforosa che si sviluppa ha la funzione di sterilizzare il mosto e coagulare le sostanze albuminoidi.
    • Tuttavia, è essenziale evitare l’eccesso di anidride solforosa, poiché può danneggiare la formazione degli eteri e influenzare lo sviluppo del profumo.
  2. Fermentazione:

    • Quando l’uva è immune da malattie o difetti, non è necessario preoccuparsi di fermentazioni anormali.
    • La temperatura delle masse fermentanti non deve superare i 36 gradi.
  3. Defecazione del Mosto:

    • Inizialmente, l’enotecnico Mameli consigliava la defecazione del mosto, come prescritto per la vinificazione in bianco del Nuragus.
    • Successivamente, ha modificato questa opinione, affermando che la defecazione è da proscriversi per i vini secchi ad alta gradazione alcolica, poiché può rallentare la fermentazione.
  4. Schiumatura:

    • Non si è pronunciato sulla schiumatura, ma molti produttori nel Campidano separavano il mosto dalle vinacce e lo facevano fermentare in piccoli fusti.
    • La schiuma risultante, secondo i produttori, contribuiva alla qualità del vino.


L’autore suggerisce che, se si vuole far fermentare la Malvasia in bianco, sarebbe buona pratica rimuovere almeno una parte della schiuma che si forma in superficie durante la fermentazione. Dopo la fermentazione, è consuetudine lasciare la Malvasia nello stesso recipiente in cui ha fermentato, applicando al cocchiume una foglia di fico. Tuttavia, sarebbe ancora meglio mettere nel cocchiume un sacchetto pieno di sabbia o un tappo idraulico. In ogni caso, con un vino di questo tipo e a grado alcolico elevato, la questione è di secondaria importanza. Nel Campidano, è sconsigliata l’aggiunta di bisolfito, nutri solfito o fosfati in generale, poiché i fermenti si sviluppano bene trovando nel mosto gli alimenti di cui hanno bisogno .